Per arrivare ad Istanbul si percorre tutta la pianura della Marmara (nomen omen, da questa regione arrivarono i marmi che fecero splendida quella che fu Bisanzio, poi Costantinopoli, infine l’odierna megalopoli Istanbul che conta oltre 14 milioni di abitanti) e la strada è un monotono rettilineo. A 30 km dal centro di Istanbul si riempie di traffico e improvvisamente si trasforma in una specie di tangenziale con uscite per le varie zone della città. Io ho solo un nome scritto su un foglio: Sultanahmet, la parte del centro storico dove si concentrano le meraviglie architettoniche della città e che è inevitabilmente diventata la meta della maggioranza dei turisti. Trovarlo si rivelerà difficilissimo, davvero troppo. Ci metto quasi tre ore, chiedo informazioni mille volte e compio centinaia di infrazioni stradali. Addirittura faccio inversione a “U” in fondo al principale ponte che collega i due estremi del Bosforo, il tratto di mare che taglia Istanbul in due: praticamente come fare inversione davanti alla barriera autostradale di Milano! Alla fine in qualche modo arrivo, ed è splendido vagare in vespa alla ricerca di un ostello in quel tratto di città, così diverso dall’inferno di traffico che mi sono appena lasciato alle spalle
Resto a Istanbul tre giorni, a fare il perfetto turista, la città è bellissima. A Sultanahmet non ci sono due degli edifici più maestosi e fotografati al mondo, le Moschea Blu e Santa Sofia: tutto il quartiere è pittoresco ed è un piacere vagabondarci dentro. Pieno di orgoglio genovese faccio anche visita alla Torre Galata e all’omonimo quartiere. L’ostello dove alloggio è pieno di ragazzi che girano l’Europa, canadesi e australiani soprattutto, e alla sera ci si trova tutti sulla terrazza affacciata sul Bosforo a intaccarne le scorte di Efes, la principale birra turca. Una dimensione perfetta per me che amo quel tipo di compagnia estemporanea, nonostante fossi decisamente il più vecchio del gruppo…

E’ al ritorno da una di queste allegre bevute che controllando l’email trovo il “preventivo” relativo ai costo dei documenti e del noleggio della guida necessari per attraversare Cina e Tibet: 9000 dollari!! Follia allo stato puro! Addio per sempre Cina, maledizione a te e a tutta piazza Tienammen Ma mi ero già portato avanti, e ho pronta la soluzione: una volta in Iran anziché attraversarlo tutto da ovest ad est in direzione Turkmenistan scenderò a sud verso il golfo persico. A Bandar Abbas, il porto principale dell’Iran, partono traghetti più o meno di linea per gli Emirati Arabi, e da lì alla volta di Mumbai, già Bombay, in india. Mi dispiace molto non vedere Turkmenistan, Uzbekistan e Kirgikistan, per i primi due dei quali ho persino già il visto sul passaporto, ma non ho scelta.
Alla fine saluto la compagnia: devo ripartire, la strada chiama me e il TS a gran voce.
Un geniale traghetto mi porta dall’altra parte del Bosforo evitandomi di incastrarmi nuovamente nel micidiale traffico dei ponti. Saluto il Mediterraneo, che dopo essermi stato a fianco per la maggior parte della strada fino a qui non rivedrò più fino a Gibilterra. Ad Est di Istanbul ci sono montagne alte, persino stazioni sciistiche: nei pressi di una di queste dal nome Bolu una mezza bufera mi sorprende, ma un provvidenziale motel da stazione di servizio mi salva in corner. Il giorno dopo sono ancora in mezzo ai monti e percorrendo strade anonime e piuttosto brutte giungo a Tosya dove mi fermo per la notte. E’ una città fuori da ogni circuito turistico, dove vedo una Turchia diversissima da Istanbul, con pochissime strade asfaltate e tutte le altre fangose: dove il carretto con l’asinello si affianca al semaforo con BMW nuovi di zecca e dove su tutti tavoli dei caffè si svolgono concitatissime partite di Okey ( un gioco dove al posto delle carte si usano delle tessere con simboli simili), molto spesso con giocatori tra cui passano due generazioni. Una città completamente priva di attrattive ma che mi è subito istintivamente simpatica.

Al mattino riparto. Voglio arrivare al Mar Nero e costeggiarlo il più possibile prima di addentrami sull’altopiano anatolico, strada obbligata per arrivare in Iran, che so già essere molto freddo in questa stagione. Ma prima di arrivarci ho ancora molti monti da superare e trovo il primo vero freddo del girodelmondoa80allora. Freddo vero maledizione. I benzinai sono molto premurosi con me, curiosi della Vespa molto più che a Istanbul. Credo di fargli un poco pena, tutto intirizzito e bagnato. Mi offrono tutti il çai, l’onnipresente the, che accetto sempre volentieri per scaldarmi un po’. Le conversazioni latitano sempre molto, praticamente prossime allo zero, ma la comunicazione a volte non ne ha alcun bisogno: quando davvero ci si vuole intendere, in qualche modo si riesce.

Finalmente inizio a scendere verso il mare e la temperatura cambia. Passo Samsun e mi fermo a dormire a Unye. Sembra una copia sbiadita delle nostre località “rivierasche”, e pure la spiaggia non regge il confronto. Il giorno dopo arrivo a Trazbon, per secoli colonia genovese col nome di Trebisonda, dove mi fermo un paio di giorni. E’ una città moderna, portuale, e per molti aspetti mi ricorda davvero la mia Genova: dalla piazza principale, pulitissima, animata e piena di studenti spesso riuniti in gruppi che cantano e suonano in strada, basta scendere una delle strade che ripidamente scendono al porto per trovare un’atmosfera completamente diversa, losca e sordida. Come in ogni porto che si rispetti ci sono le puttane, i banchetti di abbigliamento contraffatto e i cambiavalute in nero. Io abito nel centro storico di Genova, qui mi sento quasi a casa. Giro a lungo, fino a quando mi scambiano per uno sbirro turco e capisco che è meglio cambiare aria.

A Trazbon ricevo un provvidenziale Western Union mandato dall’Italia da mia sorella: in Iran per effetto dell’embargo internazionale i bancomat e le carte di credito sono un semplice pezzo di plastica, e io non ho sufficiente contante con me. Inoltre qui ha sede l’ambasciata iraniana e ne approfitto per andare a chiedere conferma di avere tutti i documenti in regola per passare la frontiera. Pessima idea. L’ambasciata è piena di gente che chiede il visto di ingresso e resto lì tutta la mattina in attesa del mio turno. Quando arriva mi danno informazioni contrastanti, mi rimbalzano tra le varie stanze e misteriosi interlocutori che mi passano al telefono, infine mi informano che non potrò passare…e per la seconda volta dall’inizio del girodelmondoa80allora piombo nello sconforto. Contatto immediatamente il grande Giampiero Pagliochini che mi rassicura: “Vai tranquillo, se hai il visto e il carnet di passaggio entri senza problemi, fidati di me”.
Mi fido. Decido di ripartire comunque e di arrivare in frontiera, e vedere cosa succede. Col senno di poi, ho fatto la scelta giusta.
Con Trazbon saluto il Mar Nero, il prossimo mare sarà quello caldo del Golfo Persico, e mi inoltro nel selvaggio altopiano anatolico. Inizio a salire di quota e il cielo sembra un rubinetto rotto: sgocciola sempre ma non piove mai. Ma è il freddo il mio nemico, incommisurabilmente più forte di me. Dopo appena 100 km mi fermo a un benzinaio dalle parti di Gumushane, vedo un albergo dall’altra parte della strada e le gambe mi ci portano dentro a grandi falcate senza che possa fare nulla per impedirlo.
Il giorno dopo arrivo ad Erzorum, ma non prima di avere “scalato” due passi oltre i 2000 m di quota. Sul secondo dei due, il passo Kop, trovo una tempesta di neve ghiacciata e vento tipo quella della mitica Coppa Kobram di Fantozzi: nell’epicentro 40 sottozero! Ma sono troppo impegnato a sopravvivere per ridere…

E’ in questa parte del viaggio che avverto i primi sintomi di malfunzionamento del motore del TS. Credo di sapere cosa abbia, ma non ho con me il ricambio adatto. Lo faccio ordinare dall’Italia e cerco di organizzare la spedizione: nel frattempo decido di continuare. Non mi sembra che una rottura grave sia imminente, ma in questo invece mi sbaglierò…
Erzorum è molto carina, trovo il tempo per visitarla un po’ e assaggiare la specialità tipica: il Kag Kebabi, che è un semplicissimo spiedone di carne di montone cotto lentamente alla brace, ma che ricorderò come miglior gusto trovato in Turchia.
Il giorno dopo mi trovo in mezzo ad un territorio aspro e a paesaggi preistorici, selvaggi, lunari. La strada ci corre dentro sinuosa, movimentata. Vedo da lontano un ammasso di rocce giovani e frastagliate che si alzano isolate dal piatto altopiano che hanno intorno, l’asfalto ci si butta dentro e sparisce immediatamente alla prima curva. Una specie di canyon, due alte pareti di roccia e sul fondo una stretta strada occupa tutto lo spazio disponibile. Semplicemente fantastico. Dico a me stesso che quella di oggi è di gran lunga la più bella strada che abbia mai fatto. Peccato solo che il TS non sia affatto in forma. Lentamente ma inesorabilmente la situazione sta peggiorando, e ho davvero paura che mi possa lasciare per strada. Ma ostinatamente decido di continuare ancora.

Alla sera dormo a Agrì, anonimo centro di cui ricorderò solo le ronde incessanti della polizia e dei militari durante la notte. Mi sto avvicinando al Kurdistan, e si nota benissimo.

Il giorno successivo è la tappa fatale. Il paesaggio è cambiato ancora: nella notte ha nevicato, intorno a me è tutto freddo e bianco e ghiacciai in lontananza di un blu che non avevo mai visto. Mi fermo a fare una foto e il TS si spegne. Riparte a fatica, ma non regge più il minimo. Poi si spegne ancora e non ha alcuna intenzione di ripartire. Inizio a smontare qualche pezzo, con poca convinzione perché intuisco che non è il tipo di problema che si possa risolvere per strada. Smonto la candela, pulisco i getti del carburatore… ma ho le mani troppo congelate per continuare e soprattutto capisco che, per usare un’espressione strettamente tecnica di un mio ex capomeccanico, “è come fare una sega a un morto”….

Valuto se chiedere un passaggio a un camionista, poi decido di provare a partire a spinta. Con tutti i bagagli e le gambe surgelate non è facile, tuttavia funziona: il TS parte. Ma ormai è ferito a morte..
Come sia arrivato a Dogubayazit già l’ho raccontato. Il TS è stato commovente. Soprattutto è stato molto più intelligente di me: ancora 40 km e sarebbe stato Iran, e lì probabilmente fare arrivare un pacco dall’Italia pieno di pezzi meccanici sarebbe stato veramente difficilissimo. Molto, molto meglio che sia capitato in Turchia.
Bello, forte e intelligente. Ce le ha tutte il mio TS
sigh, ho le lacrime agli occhi per il ts, una storia commovente…. a parte gli scherzi mi fa piacere leggere tutto quello che scrivi in modo così piacevole, che il ts sia di nuovo in forma e che ora sarai al caldo, un abbraccio…
Continua così Lu! ! Bellissimi i racconti e chissà le esperienze. . Complimenti .. gas !!