“Due ruote” è sempre stato per me sinonimo di velocità, adrenalina, guida, derapate e impennate. Da ragazzo ho quindi sempre guardato alla Vespa come a una sorta di elettrodomestico con le ruote, un pezzo di lamiera lento, goffo e impacciato: tale mi appariva in sella alla mia formidabile Aprilia 125 Chesterfield che guidava a sedici anni. Le rare volte che avevo provato una vespa ero sceso impallidito dall’assoluta mancanza di motore, freni, sospensioni. Insomma, non nasco affatto vespista.
Nel 2003 accadde un fatto destinato a cambiare la mia vita. Terminati gli esami ed in attesa di discutere la tesi di laurea decisi di concedermi una “estate sabbatica” vagabondando per la Spagna in cerca di avventure.
Il traghetto Genova Barcellona era perfetto per raggiungerla, ma all’ultimo momento pensai che sarebbe stato comodo disporre di un mezzo autonomo di trasporto, che doveva essere pratico economico ed abbandonabile in caso di necessità: mi procurai uno Special 50 completamente scassato. Sostituzione della candela come unico “tagliando”, in compenso nuova fiammante verniciatura, rigorosamente a bomboletta, in un “Giallo Cromo” un pò posticcio ma di grande impatto!
Giunto a Barcellona decisi di proseguire finpo a Valencia ma i traghetti erano scomodi e costosi: decisi quindi di percorrere quei 450 km su strada a bordo del mio estemporaneo mezzo di trasporto. Quella piccola tappa è stata l’inizio di una storia d’amore che dura ancora oggi.
Non avevo mai viaggiato in quel modo, soprattutto su due ruote.
Per me la strada era sempre stata una concatenazione di curve e rettilinei , linee e punti di frenata, occhi ed attenzione sempre inchiodati a controllare i pericoli.
Sulla vespa nulla di tutto questo. Troppo lenta per meritare traiettorie, troppo indolente per mettere preoccupazione. E allora tutta l’attenzione si spostava al territorio attraversato, al suo paesaggio vegetazione e odore, alle facce della gente e ai colori del panorama.
Insomma smisi di essere motociclista e diventai viaggiatore.
Arrivato a Valencia, non volli fermarmi. Ormai dipendente da quelle sensazioni proseguii dritto verso l’Andalusia e mi fermai solo di fronte a quell’oceano immenso di fronte che mi sbarrava la strada: promisi a me stesso che un giorno nulla mi avrebbe fermato e avrei girato tutto il mondo a bordo di una vespa.
…tratto da “Il Giro del Mondo a 80 all’ora”
Ci arrivai a bordo di un piccolo Special 50, fu il mio primo viaggio a bordo di una Vespa. Quando giunsi laggiù, al limite del continente europeo, fu l’oceano a fermarmi: non c’era più strada davanti a me. Piantai le ruote dello Special nella sabbia dell’immensa spiaggia che affaccia l’Atlantico. Soffiava un vento poderoso, allora e come sempre in quella località, così ossessivamente monodirezionale da avere accumulato una immensa duna di sabbia su un lato della spiaggia. Cominciai a camminare verso la duna e, giunto ai suoi piedi, iniziai a scalarla. Fu lungo e faticoso ma ne valse la pena: raggiunsi una vetta, non solo in senso morfologico. Sentivo quel vento immane giungere dall’Atlantico e sbattermi sulla faccia, mi emozionavo a pensare come fossi il primo ostacolo che incontrava sul suo cammino dopo avere attraversato migliaia di chilometri di oceano solitario. Quella brezza sul viso fu una chiamata alle armi da parte del mio Destino. Parlai direttamente a lui, o forse all’Atlantico, oppure a me stesso. Non ricordo bene. “Oggi vinci tu, io ora devo fermarmi davanti a te. Ma un giorno neppure un oceano come te sbarrerà la mia strada. Un giorno girerò il mondo intero su una vecchia Vespa come questa, niente e nessuno potrà fermarmi. Guiderò fino a quando non sarò tornato al punto di partenza, ma arrivandoci dalla parte opposta”.
Sono passati oltre dieci anni e sono tornato sulla strada proprio per mantenere quella promessa, nonostante sia stata fatta da un Luca molto diverso da quello che sono diventato nel frattempo. In questo almeno non sono cambiato: allora come oggi potrei morire per non tradire la mia parola. Ma allora ero un puro, più volitivo dell’Alfieri e più irrequieto di Dean Moriarty, col cervello in uno stato di erezione permanente e troppi sogni a gonfiarmi la pancia. Oggi quel Luca non esiste più. L’ho ammazzato io. Gli ho sparato in pieno volto, per renderlo irriconoscibile. Negli anni si era ridotto a una parte di me sempre più piccola ma impossibile da eliminare. Continuavo a sentirne la voce completamente folle, stridula e altissima, che mi gridava da dentro di non fare il furbo, di non dimenticare i miei sogni, di non tradire le mie promesse. Non avrei mai potuto vivere serenamente, non diventare un depresso frustrato e insoddisfatto se non lo avessi fatto tacere. Così abbiamo fatto un patto. Ok bello, facciamo così: io mantengo la promessa e parto, poi ti sparo. Ha accettato subito. Sfinito da anni di battaglie, desiderava da tempo raggiungere il suo Nirvana, eppure mai si sarebbe arreso se prima non avesse raggiunto il suo scopo. Ora che sono partito è stato felice di togliersi di torno, e io di accontentarlo. Ho risolto così la faccenda, credo in maniera più salubre e divertente che ricorrere tra qualche anno a uno psicoterapeuta o agli antidepressivi, come purtroppo fanno in tanti.