Lettera da nessun luogo

Luca Capocchiano

 

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Le rovine dell’antichissimo castello di Dogubayazit: scavato nella roccia quasi 3000 anni fa

Per prima cosa spiego il senso del titolo: mi trovo in un posto che non esiste. Doguabayazit si trova formalmente all’estremità orientale della Turchia a circa 50 km dal confine con l’Iran e praticamente nel cuore del Kurdistan, uno stato che pur avendo popolo lingua e tradizioni, appunto, non esiste. Gli mancano due elementi fondamentali: un territorio e il riconoscimento internazionale. I curdi sono moderatamente cordiali e ospitali, certamente più espansivi dei loro cugini turchi, dignitosissimi nelle loro enormi difficoltà e molto fieri della loro identità. Anche nell’aspetto differiscono dai loro cugini: molti hanno insospettabili occhi azzurrissimi. Quando riusciamo a parlare, e non è facile poiché l’inglese è davvero raro qui, il discorso finisce sempre sull’invito a raccontare che non sono affatto come sono stati dipinti dai media, che sono gente per bene e che le loro città non sono le polveriere che hanno raccontato. Tutti, davvero tutti, amano l’Italia e gli italiani, e sognano di poterla vedere un giorno. Ammesso che una settimana sia sufficiente per capire un luogo, posso confermarlo.Certo, avrei preferito rimanere inchiodato in un posto caldo in riva al mare…Copacabana sarebbe stato perfetto! Ma anche in Thailandia, Malesia, oppure sulla Gold Coast australiana poteva andare bene..

 

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Periferia di Dogubayazit
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Mentre scattavo la foto precedente questo bambino è saltato fuori dal cassonetto come un gatto randagio e si è messo in posa: voleva essere fotografato
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Per le strade di Dogubayazit si incontrano spesso piccoli amici come lui..

 

Mi trovo qui da lunedì 3 novembre, da quando il cuore del TS ha smesso di battere. Era davvero un gran cuore: la strada per arrivare qui passa per altopiani deserti incorniciati da altissime montagne ricoperte da ghiacciai e il freddo è l’assoluto protagonista. Eravamo lì in mezzo quando il TS ha avuto la crisi definitiva e ho davvero temuto di non potere arrivare a un luogo abitato. Ferito a morte, zoppo e incapace di superare i 40 km\h mi ha comunque condotto in salvo fino in città, permettendomi di trovare un alloggio in cui poterlo controllare perlomeno al coperto, come un vero cavallo da battaglia al termine dello scontro fatale. Davanti all’hotel si è spento, e non c’è più stato modo di farlo ripartire. lo ammetto, lo adoro…

Scrivo questo post soprattutto per ringraziare i tanti che mi hanno scritto qui e sulla pagina facebook per incoraggiarmi e farmi arrivare il loro supporto. Non me lo aspettavo, e giuro che fa un piacere enorme sapere che tanti fanno il tifo per me. Inoltre vorrei rispondere, seppure indirettamente, alle molte domande che mi sono arrivate.

Il TS ha un problema meccanico al motore. Questo è stato evidente appena l’ho smontato. Ma della causa, del motivo di questa precoce rottura non ero affatto certo. Grazie agli amici del forum di www.vespaonline.com  ho le idee molto più chiare adesso, ed è fondamentale per evitare che si ripeta in futuro. In estrema sintesi, non c’è stata una causa unica ma un insieme di concause che hanno generato il problema. Posso comunque riassumerle tutte quante alla voce “mia fottutissima disorganizzazione prima della partenza”. Come ho già detto, sono partito veramente “in fretta”. Farò adesso qui alcune modifiche e adotterò accorgimenti cui avrei dovuto pensare in Italia prima di partire.

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I più esperti noteranno subito il problema: manca un bel pezzo della fascia elastica inferiore, e anche la superiore non sta benissimo..

I primi giorni ero parecchio incazzato, soprattutto con me stesso, e un poco abbattuto. Poi ho cambiato prospettiva, allargato il punto di vista, vedendo questo stop di una decina di giorni nel contesto di un viaggio ancora lunghissimo. Ho smesso di rimuginare su quello che avrei dovuto fare prima e mi sono concentrato su quello che ho da fare ora per ripartire e portare a termine il mio girodelmondoa80allora, possibilmente senza che tutto questo mi ricapiti. Piano piano mi sono organizzato: i ricambi di cui ho bisogno (ebbene sì, il pezzo rotto non era tra i ricambi che mi sono portato dietro) sono partiti giovedì dall’Italia e li aspetto qui per metà della prossima settimana. Nel frattempo ho trovato un’officina che mi ospiterà quando rimonterò il motore: io non sono un meccanico, ma quelli che ho trovato qui in giro mi hanno fatto autoproclamare all’istante il più affidabile della città. Ho smontato il motore nel sottoscala dell’albergo, sdraiato in terra e in mezzo allo sporco: impossibile rimontarlo come si deve nelle stesse condizioni. Inoltre la hall dell’albergo era impestata dalla puzza di benzina: il proprietario è stato fin troppo comprensivo, ma non posso abusare della sua disponibilità. Il motore è già presso l’officina: lunedì porterò anche la vespa, dopo averla lavata, probabilmente trasportata sul carrozzino di uno dei tanti sidecar che girano in città. Da quando riceverò in mano i pezzi conto di poter rimontare tutto in due giorni, più un terzo di collaudo\rodaggio che farò gironzolando qui intorno senza bagagli: probabilmente andrò a vedere un enorme cratere di meteorite a 30 km da qui, una delle “attrazioni turistiche” del luogo.

Oltre a questo Dogubayazin propone ben poco. Uno splendido palazzo di fine ‘700 costruito da un capitano armeno su un monte che domina la città, le escursioni sul monte Ararat e poi il nulla.

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Lo spettacolare palazzo di Ishak Pasa, fine ‘700 e abitato fino alla fine della I guerra mondiale
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La sala delle cerimonie, con intruso svaccato
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Non mi sono spiaccicato al suolo: le prigioni non avevano porte, i detenuti venivano calati dalla finestra. Provavo a simulare un’evasione, senza successo
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L’imponente monte Ararat visto dal mio piccolo albergo

Il mio tempo si è fermato: sono in questo limbo strano in cui l’unica cosa che ha davvero senso fare è trascorre le giornate in attesa del pacco. Passo molto, forse troppo tempo nella mia stanza d’albergo a leggere e dormire e faccio gran passeggiate in giro per la città, assolutamente senza meta. Ogni tanto entro a scaldarmi in uno dei tanti “caffè”, che a dispetto del nome non propongono altro che the, qui chiamato cai: non serve affatto ordinare, basta sedersi a un tavolo e il gestore, assolutamente indistinguibile tra i clienti, dopo poco arriverà con uno di questi tipici bicchierini bollenti, perfetto per scongelare le falangi. E’ una città lenta e stanca, freddissima, dove la gente ha evidentemente molto tempo da spendere. Dentro questi caffè qualcuno dorme, molti chiacchierano pacatamente (la mancanza dell’alcol modifica il profilo sociale di un luogo!), quasi tutti fumano. E così pisciano via “ore infinite come costellazioni e onde”. Sono oramai perfettamente mimetizzato tra di loro, almeno finchè non apro bocca, e forse solo il mio Moleskine impunemente aperto sul tavolo tradisce la mia appartenenza.

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La via principale di Dogubayazit…….

 

Non vedo l’ora di dare a tutti buone notizie: l’arrivo del pacco, la resurrezione del TS, la ripresa del girodelmondoa80allora.  La strada, la vera Regina del viaggio, è ancora lunga.

Grazie ancora a tutti.

Pe

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